“Maestro, dove abiti?”
di Don Ivo Marcelli

Kongwa, Tanzania: Festa ParrocchialePerché siamo andati in Africa? Cioè come è nata l’idea? Veramente non lo so! So bene il perché siamo andati… ce l’ha detto P. Corrado che ha organizzato il viaggio e ce lo ha ripetuto in Missione P. Fabiano Cutini (nipote del nostro Arciprete ad Arezzo): è importante che i cristiani non solo si interessino alle Missioni con la preghiera e gli aiuti umanitari, ma tocchino con mano la realtà della Missione… “vedano con i loro occhi”… Maestro dove abiti?... al curioso Gesù non racconta dove sta di casa, né come è la sua casa, ma risponde: “Vieni e vedi” (Gv. 1,38-39).Abbiamo visto, … ma a volte anche il vedere con gli occhi ha bisogno di essere vagliato dalla testa al cuore… Quanto è difficile fare sintesi, dare lettura agli avvenimenti o dare un giudizio alla realtà e ai comportamenti. Certo colpisce subito la diversità con il nostro mondo a partire dalla città più grande, Dar-el-Salaam, dove siamo atterrati, fino all’interno (a 400 km) dove si trova la missione di P. Fabiano, a Kibaigwa. La città ha una parvenza delle nostre, uscendo inizia la fila dei villaggi di fango e paglia. La sua missione è però un’oasi molto grande dove parecchie persone lavorano e altrettanti studenti vi abitano, ma anche la cura pastorale per 14 villaggi, che periodicamente Padre Fabiano cura, mi ha impressionato: le catechesi e la S. Messa partecipate con una fede e un’attenzione tale (…da far invidia alle nostre comunità) mi hanno fatto ben sperare per il futuro dell’Africa. Esperienza da ripetere? Perché no!... “Abbiamo visto e abbiamo creduto”, questo dice il Vangelo di Giovanni alla tomba vuota, dopo la Resurrezione. q

Mal d’Africa
di Francesco Sarti

Mkoka, Tanzania: alcuni giovani volontari con i custodi della missioneVi è mai capitato di guardare attentamente la Tv? Ogni qualvolta che l’accendiamo vediamo immagini di miseria e sofferenze ma, spesso passano inosservate e, anzi, cambiamo canale e ci meravigliamo magari di vedere che è uscito un nuovo modello di cellulare o un’auto che costa come un appartamento, oppure possiamo semplicemente “spengere” il cervello e ascoltare l’ultimo successo fotocopia commerciale di MTV di cui forse non capiremo neanche il testo. Ho scelto di voler vedere la realtà direttamente… e giù in Tanzania. Eravamo un bel gruppo destinato a dividersi nelle varie missioni presenti nel paese. Noi ragazzi dovevamo essere gli ultimi a raggiungere la destinazione e più andavamo avanti, più i posti dove ci fermavamo erano poveri e solitari. Quando finalmente siamo giunti alla meta, la nuova missione di Mkoka, abbiamo trovato un cantiere aperto! Niente vetri alle finestre, un lavandino in dodici, niente gas né acqua calda e migliaia di insetti che invadevano le nostre camere. Per non parlare poi dell’impianto elettrico (la corrente elettrica era prodotta da un generatore diesel) fatto collegando qua e là un po’ a caso lampadine e filo! L’impatto è stato un po’ duro ma la cosa più bella è stata l’accoglienza della gente del villaggio al nostro arrivo: ci aspettavano a braccia aperte almeno 100 persone che volevano stringerci la mano, presentarsi e aiutarci. Il missionario incaricato alla costruzione della missione e P. Egidio Guidi, chiamato Baba Egidio, un frate allegro, un po’ arruffone e molto generoso.Mkoka, Tanzania: Francesco con alcuni "muratori" della missione Una cosa che si nota quando si è là e il dilatarsi del tempo, poiché tutto è fatto con calma; ad esempio puoi vedere sei operai che osservano uno lavorare lentamente, o aspettare una persona per un’ora e capire che secondo lui è ancora quasi in anticipo! La nostra giornata lavorativa (dallo spalare, scavare, dipingere muri fino a rifare ex-novo tutto l’impianto elettrico) iniziava la mattina con le lodi comunitarie e terminava alle 6 la sera con i vespri detti insieme agli africani che stavano lì con noi nella missione. Ciò che impressionava era la distribuzione d’acqua: il pozzo della missione era l’unico di acqua dolce e pulita nel giro di chilometri e ogni giorno centinaia di donne e bambini facevano la fila per riempire secchi giganteschi per tornare poi a casa, magari a 5 km tenendoli in equilibrio sulla testa. Tutte le persone che incontravamo ci sorridevano e ci salutavano calorosamente e molti cercavano sempre di offrirci qualcosa: l’ospite è sacro in maniera maniacale!
Dopo un intenso mese di missione in Tanzania, con visite alle altre missioni, si ritorna a Dar-el-Salaam: sembrava di essere là da poco e la sensazione era di dover ancora conoscere e imparare tante cose importanti, ma il tempo era finito era ritornato quello tiranno che conosciamo qui in Italia e non quel caro lentissimo avanzare tanzaniano.
Sull’aereo che mi riportava ero più leggero e non solo per i Kg persi causa polenta e fagioli, ma perché una parte del cuore irrimediabilmente ti rimane là attaccata alle persone che incontri e alle realtà, a volte dure e pietose, che hai avuto il “privilegio” di poter vivere. Adesso che sono qui sulla comoda poltrona a scrivere al computer, col mio stereo in sottofondo e l’odore della cena nelle narici, quella realtà è lontana milioni di anni luce e ho ancora tanti dubbi e incertezze su quello che potrei fare per quel mondo, ma di una cosa sicuramente sono certo: prima o poi voglio tornare laggiù in mezzo a quelle persone speciali che forse non si rendono neanche conto di esserlo, perché il mio “mal d’Africa” non è guarito, per il momento è solo soddisfatto temporaneamente, ma so che presto tornerà prepotentemente a farsi sentire in maniera forse ancora più acuta!!!.
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Il dissalatore per Kongwa

Il dissalatore, collaudato dal Sig.Pinsuti e dal Dr.D'Ambrosio
	  Nel maggio 2003 l’Università di Siena stipulò una convenzione gratuita con il CAM allo scopo di migliorare la quantità e qualità delle risorse idriche dei centri di attività missionaria in Tanzania. Nel giugno 2003 maggio 2003 l’Università di Siena stipulò una convenzione gratuita con il CAM allo scopo di migliorare la quantità e qualità delle risorse idriche dei centri di attività missionaria in Tanzania. Nel giugno 2003 e nel gennaio 2004 furono svolte, da parte dei geologi del Centro di Geotecnologie dell’Università di Siena (Disperati L., Fantozzi P.L., Graziosi B.), due missioni idrogeologiche con l’obiettivo di delineare le disponibilità e le potenzialità idriche del territorio in cui i centri di attività missionaria sono attivi, con particolare riguardo alla missione di Kongwa ove il problema idrico era più grave che altrove. L’alto tenore di solfati e sali delle acque di falda è una caratteristica costante di tutta questa regione, geologicamente interessata da depositi salini e gessosi accumulatisi in quantità nel sottosuolo. Questa situazione rende sconsigliabile la perforazione di nuovi pozzi, che non porterebbero alcun miglioramento della disponibilità idrica, anzi con ogni probabilità porterebbero all’ incremento della salinità delle acque estratte dal sottosuolo.
Al fine di verificare altre soluzioni per il miglioramento della disponibilità di risorse idriche sono stati prelevati alcuni campioni di acqua proveniente dal pozzo in uso alla Missione di Kongwa ed è stato stata avviata una collaborazione con la Società Nuove Acque S.p.A. per la progettazione di un impianto di dissalazione ad osmosiinversa atto alla potabilizzazione dell’acqua. I vantaggi di questo processo sono molteplici: vanno dalla semplicità di gestione alla mancanza totale di scarichi di acque soggetti alle leggi antinquinamento, alla purezza dell’acqua trattata.
La diffusione di questi impianti sta facendo ridurre i costi di produzione (gli impianti contano notevolmente meno di dieci anni fa); e il cuore dell’impianto, le membrane semipermeabili, hanno una durata di vita da due a tre volte superiore di quelle di qualche anno fa. Il principio dell’osmosi-inversa si basa sul principio naturale dell’osmosi, che in natura porta a migrare “l’acqua dolce verso l’acqua salata” quando le due soluzioni sono separate da una membrana semipermeabile.
Se alla soluzione con maggiore concentrazione di sali (l’acqua salata) viene applicata una notevole pressione il fenomeno naturale viene invertito e il flusso tra le soluzioni avviene “dall’acqua salata verso l’acqua dolce”. In pratica la membrana semipermeabile deve essere pensata come un superfiltro a pori molto piccoli attraverso i quali, per effetto della pressione applicata, l’acqua salata viene filtrata e separata dai sali minerali e dalle altre impurità che essa contiene. La Società Nuove Acque di Arezzo ha messo a disposizione il proprio knowhow attraverso la collaborazione di un tecnico della società, il sig. Claudio Pinsuti, il quale nei mesi di luglio, agosto e settembre 2004 a messo a punto il progetto di un impianto di dissalazione a osmosi-inversa della produttività massima di 6 m3 (metri cubi) giornalieri. La ditta selezionata è stata la Cillichemie Italiana™ rappresentata dall’Ing. Enrico Casci il quale, assieme al Sig. Pinsuti si è adoperato per la verifica di funzionalità e affdabilità di ogni parte dell’impianto. L’impianto è stato ordinato al fornitore nell’ottobre 2004 e nei giorni 21, 22, 23 dicembre 2004, presso il centro tecnico della Cillichemie di Milano è stato eseguito il collaudo. Il gruppo di collaudo era costituito dal Sig. Pinsuti della Società Nuove Acque, da P.L.Fantozzi, del Centro di Geotecnologie dell’Università di Siena, gli Ingg. E. Casci e P. Bordignon ed il Dr. M. D’Ambrosio della Società Cillichemie. Nei mesi di febbraio-marzo 2005 C. Pinsuti e P.L.Fantozzi si recheranno in Tanzania per eseguire l’installazione e l’avviamento dell’impianto, nonché le attività di formazione del personale locale per la conduzione e manutenzione dell’impianto stesso. Al momento il progetto ha un costo che si aggira intorno ai sessantamila euro, coperto in gran parte dal Centro di Animazione Missionaria di Prato (Segretario, Padre Corrado Trivelli) e dall’Università di Siena che ha ricevuto dalla Regione Toscana (Direzione Generale, Settore Attività Internazionali), un finanziamento nel contesto delle attività di Cooperazione promosse da questo ente.
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INDIA: testimonianza di viaggio
di Giovanni Tiezzi

Parlare dell’India vuol dire parlare di un’esperienza e non di un semplice viaggio. Significa parlare di emozioni, colori, suoni, odori misteriosamente e magicamente amalgamati insieme fino al punto di coinvolgerti. Sono arrivato senza una preparazione né geografica, né culturale. Sono andato abbandonandomi alle emozioni ed ecco che davanti a me fin dall’uscita dell’aeroporto di Delhi, le mie aspettative coincisero perfettamente con la realtà. Gente sorridente, colori, suoni, rumori uniti ad altrettanta gente dai volti distrutti dalla fame e dalla sofferenza. Macchine di lusso e altre rovinate, insieme alle mucche e alle numerosissime biciclette. Moltissimi i pedoni, i clacson e un acre odore che non riesci a definire e che non hai occasione di costatare in altri paesi. In quell’odore tutta l’India. La miseria, la fame la disperazione: lungo le strade e i marciapiedi di villaggi e città, da Delhi a Meerut, quell’odore mi ha accompagnato ovunque, insieme alle persone, volti, anime vagabonde, mendicanti, ammalati di lebbra. Un’umanità che soffre, lotta e si batte per mangiare, forse neppure una volta al giorno. A scapito di paesaggi, architetture, palazzi di Maraja, moschee e altri luoghi di preghiera. L’India è stata per me vivere in mezzo a questa gente insieme ai missionari, nella volontà di aprirmi alla condivisione, ad aprire il cuore e ad allungare una mano per alleviare una ferita, invitare ad un sorriso, offrendo un sorriso. Tornato in Italia non ho più trascorso un giorno di serenità. Sono come perseguitato da volti e sguardi dolci che mi guardano chiedendomi qualcosa. E io ho il dovere di dare loro qualcosa e loro hanno il pieno diritto di chiedermela: ho deciso, la mia professione di giovane medico, almeno per 3 o 4 anni la porrò al loro servizio. Partirò nel prossimo mese di Maggio, dopo un corso di perfezionamento della lingua inglese.q

La farfalla e lo scalpello
di Alberto Tanganelli

Guinea-Bissau: Alberto nella quotidianetà del suo volontariatoNelle caldi notti africane vissute nel corso di quest’ultimi mesi più volte mi sono chiesto cosa fosse più giusto comunicare ai miei amici e alla mia famiglia di ciò che è stata la mia vita in questo primo anno in Guinea-Bissau, come volontario dell’ONG LVIA. Nessuno o quasi nessuno a Siena si è interessato a quello che realmente faccio in Africa e le uniche domande si sono limitate al “come va?”, “quanto ti fermi?”, o peggio “quando riparti? Dai prima che tu vada via si va a cena insieme”. Speravo in un confronto più vero e sincero con le persone che conosco. Invece la frenesia stressante che avvolge le giornate quassù ha limitato anche le poche occasioni di incontro e di dialogo all’ovvietà.
Guinea-Bissau: Alberto nella quotidianetà del suo volontariato Da un lato molti dei miei amici ben lontani dallo spirito del Concilio Vat. II°, intuendo una certa indipendenza nel mio lavoro dalle strutture ecclesiali missionarie, mi hanno messo da parte forse per non mettere in dubbio pilastri di pseudocertezze clericali sulle quali si basa da decenni la loro esistenza. Dall’altro, per tutti gli altri, il mio incontro è servito solo a confermare le idee eclettiche su persone, riguardanti temi più gretti quali la prostituzione, il guadagno ed in generale l’avventura.
Inutile parlare con questi di ragazze nere stupende, che in mancanza d’altro vivono e mangiano grazie alla frequentazione dei ricchi bianchi nel paese. O su come i bambini si scalmanano a seguirti quando gli passi vicino solo perché magari ti hanno visto allo stadio correre il fine settimana. O confessare la fatica che un volontario fa ad uscire la sera distrutto da una giornata di lavoro per andare a pregare nella chiesa al di là della piazza oltre il bar di Mario. Tutto serve a confermare le idee che tutti hanno. Nulla stupisce più nessuno. Ogni frase è sordamente ascoltata e monoliticamente filtrata per giungere a conclusioni, che seppur diverse convergono tutte a negare il fatto che la Guinea-Bissau sia uno Stato abitato da esseri umani, che hanno gli stessi diritti e doveri di tutto il resto dell’umanità; e che come tutti vivono la propria personale e dignitosa quotidianità. Del resto anch’io ho fatto la mia bella fatica per accettare tutto questo.
Quell’idea sfarfallante che avevo della missione si è rotta in frantumi sotto i colpi dello scalpello della cruda atmosfera che si respira in uno dei più incredibili sotterranei della storia. Così il mio vivere insieme ai “negri” (mi si conceda il termine) ha potuto finalmente rifiutare l’idea di una loro schiavitù finalizzata al nostro far del bene, ed incamminarsi verso il più difficoltoso ed impervio lido di una fraternità al servizio di un vero sviluppo.
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I colori di Dio
di Cesare Morbidelli

Difficile, anzi, impossibile sapere quali siano i colori che usa Iddio per colorare i suoi progetti, sicuramente quelli più adatti, quelli necessari, forse neppure i più belli, ma il disegno che ne ricava è il migliore! Chiaroscuri delicati e tratteggi sorprendenti.
Cos’è che voglio dire? Forse che a dispetto dei nostri piani, delle nostre pur giuste programmazioni, altre e ben più alte trame si sovrappongono alle nostre fino a formare quel famoso disegno di Dio che tante volte vorremmo intuire. È un disegno leggero, a lapis, si direbbe, è proprio seguendo questo tratteggio che ci siamo trovati, in parecchi, a vivere e a sperimentare la missionarietà. In modi diversissimi: chi parte, chi invece resta e prepara, impacchetta, spedisce, una diversità evangelica

che è il motore del nostro credere. L’incanto e la misteriosità di Dio la si coglie nel lavoro che viene svolto in questo Centro Missionario, nella disponibilità, nell’entusiasmo che si intravede. Il perchè delle scelte, di certi incontri per caso, di strade che ci si aprono improvvise, è misterioso, perchè così è il nostro Dio.q