La missione è legata indissolubilmente all’Eucaristia e viceversa. Già l’ultima cena di Gesù nel Cenacolo accompagnata dalla lavanda dei piedi è un invito a uscire fuori da quelle mura d’intimità per immergerci nel mondo. Questo è il suo invito: “come ho fatto io fate anche voi”. Non esiste Missa senza missio. La parola Messa viene da “mittere-missio” che vuol dire congedare, inviare, mandare. Scriveva il Papa Giovanni Paolo II ai giovani: “Carissimi giovani l’Eucaristia e la missione sono due realtà inscindibili. Non c’è autentica celebrazione e adorazione dell’Eucaristia che non conduca alla missione”. L’anno eucaristico che stiamo vivendo terminerà con il Sinodo di tutti i vescovi. In questa undicesima assemblea generale il tema dibattuto sarà “l’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”, tema peraltro al centro di questo stesso anno. Il pericolo che spesso corriamo è dividere la Messa dalla missione, l’aspetto cultuale dall’aspetto pratico. Ci riteniamo “praticanti” ma in realtà non lo siamo perché non traduciamo in pratica quello che celebriamo. Dobbiamo evitare la divisione tra rito e vita, tra Messa e vita perché questa è ipocrisia. Gesù stesso ricordava il rimprovero di Dio al suo popolo “questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me” (Mt 15,8). L’Eucaristia è principio e progetto di missione. Questo è il titolo del quarto capitolo della lettera apostolica “Mane nobiscum Domine” di Giovanni Paolo II. Nell’Eucaristia ci sono due momenti inscindibili. Nel documento Sacrosantum Concilium l’Eucaristia viene presentata con una definizione che poi è diventata classica: essa è culmine e fonte della vita della Chiesa e del cristiano. C’è un movimento centripeto e centrifugo: è culmine perché è il punto verso cui convergere, è il tesoro della Chiesa la sua preghiera più bella, è il mezzo più efficace con cui Dio può salvarci, è il gesto che più di tutti celebra il suo amore. È quindi un punto verso cui dirigersi come ha fatto tutta la comunità cristiana lungo i secoli. Ma è anche fonte, punto da cui partire per il mondo, da cui “prendere il largo” verso la missione con l’energia che l’Eucaristia stessa ci comunica: caritas Christi urget nos. L’Eucaristia è dunque progetto di missione. Proprio nel capitolo quarto di “Mane nobiscum Domine” Giovanni Paolo II si rifà al brano dei discepoli di Emmaus. Questi, una volta incontrato Gesù nello spezzare il pane “partirono senza indugio” (Lc 24,33). È l’inizio della missione. Così si esprime: “l’incontro con Cristo […] suscita nella Chiesa e in ciascun cristiano l’urgenza di testimoniare e di evangelizzare” (Mane nobiscum Domine, n° 24). Per la missione l’Eucaristia non fornisce solo la forza interiore ma anche il progetto. Essa è infatti un modo di essere che da Gesù passa nel cristiano e attraverso la sua testimonianza mira a irradiarsi nella società e nella cultura (ib. n° 25). La celebrazione stessa dell’Eucaristia con i suoi riti è una scuola di amore e di missione. Se ci riflettiamo bene questi riti sono riferimenti espliciti al servizio, alla carità. Già nella Messa stessa viviamo questi sentimenti. Pensiamo alla “colletta” cioè alla raccolta delle offerte che facciamo durante la Messa per i bisogni dei poveri, per le missioni e per tutte le necessità della Chiesa: è un segno che ci ricorda che dobbiamo condividere. È quindi un’azione concreta che va al di là di un gesto puramente rituale. Questa della colletta è una consuetudine antichissima che ci dice quanto sia connaturale all’Eucaristia quest’atteggiamento di carità e di apertura. San Giustino autore del secondo secolo afferma: “le persone in possesso di mezzi e di buona volontà offrono spontaneamente ciò che vogliono e il raccolto è consegnato a colui che presiede il quale lo usa per aiutare gli orfani, le vedove, coloro che per malattia o altre cause sono nell’indigenza o si trovano in catene o sono straniere; egli si prende cura insomma di tutti coloro che si trovano in stato di necessità” (Apologia 67). Un altro gesto è lo scambio della pace: è un invito al perdono, ad essere portatori di pace, a sentirci fratelli di chiunque è e ci sarà accanto anche quando usciamo dai confini del tempio. Il gesto poi della frazione del pane ci rimanda anch’esso in modo esplicito alla condivisione e alla comunione dei beni. Gli elementi stessi del pane e del vino ci ricordano le necessità primarie di ogni uomo. Celebrare il sacro convito è un grande dono ma anche una provocazione: il cibo e la bevanda dovrebbero stare sulla tavola di ogni essere umano mentre in realtà così non è. L’Eucaristia allora, se ci riflettiamo bene, è un invito continuo a non tradirlo con la vita. Affermava in una maniera molto forte e provocatoria san Giovanni Crisostomo: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta per poi trascurarlo fuori, quando patisce freddo e nudità. Colui che ha detto: “questo è il mio corpo”, è il medesimo che ha detto “voi mi avete visto affamato e non mi avete nutrito”, e “quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me […]. A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici d’oro, quando lui muore di fame? Comincia a saziare lui affamato, poi con quello che resterà potrai ornare anche l’altare” (S. Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 50,3-4). Celebrare allora l’Eucaristia è vivere in modo eucaristico la propria vita, cioè in stato di donazione e di missione. Chi ha assistito al gesto dello spezzare del pane da parte del suo Signore non può rimanere chiuso nel godimento delle sue ricchezze, chi ha partecipato al gesto della donazione della vita del suo Signore non può non fare altrettanto. Nell’Eucaristia ci deve essere la nostra passione per un Dio che ci ama ma anche la passione per l’uomo in cui lui vuole essere amato. Federico Ozanam, fondatore delle associazioni di carità e di volontariato di San Vincenzo de’ Paoli era solito recarsi dopo l’Eucaristia a visitare un povero. Questa era la motivazione che lui dava: “Vado a restituire a Gesù la visita che mi ha fatto nella comunione”. Dopo la “Missa” non ci può non essere la “missio”, dopo la Messa non ci può non essere la missione.q |