Voglio portarti, cara lettrice e caro lettore, a fare un viaggio immaginario, veloce, diciamo a volo d'uccello, per farti conoscere una delle regioni africane in cui operano da molti anni i missionari cappuccini toscani. Andiamo in Tanzania, Africa centro-orientale.
Qui trovi quei "paradisi" di cui hai tanto
sentito parlare: il Kilimanjaro (quello della vecchia canzone), l'isola di Zanzibar,
il lago Victoria, Ngorongoro e Serengeti e Olduvai.… Mi premuro di informarti
che in queste regioni vive una popolazione caratteristica, i Wagogo. In mezzo
a loro vive un gruppo di frati Cappuccini di Firenze, stabilitisi là
dalla metà degli anni sessanta.
Volando per una decina di ore, hai visto Aswan e il Nilo. Da lassù in
alto il vecchio fiume ti è sembrato un enorme serpente, che, addormentato
in mezzo al deserto, riposa ubriaco di sole e calore.
Il ricordo del mio primo viaggio è ancora vivo. La notte della festa
dell'Immacolata Concezione dell' '82. Quando le luci di Fiumicino scomparvero,
fui preso da uno strano disagio: la sensazione di aver commesso una grossa sciocchezza.
Tutto ciò che negli anni precedenti mi aveva esaltato e spinto fin lì,
diveniva ora piatto e vuoto. Neppure l'ideale missionario e neanche la prospettiva
di una grande avventura riuscivano a togliermi quel peso di dosso. Le prime
luci dell'alba, dopo Addis Abeba, appesantirono il mio animo ancora di più:
una immensa distesa di terra scialba e brulla, suddivisa in forme bislacche
da grandi voragini e punteggiata qua e là
immersi nella Savana...
Può succedere che la prima impressione che si
ha di un ambiente nuovo o di persone mai viste prima rimanga anche in seguito,
per costituire la base di quella visione personale, come fosse un castello che
man mano si va costruendo con il susseguirsi di ulteriori esperienze.
Sono sicuro che, attraversando la città di Dar es Salaam tra il sudicio,
il caldo afoso, i rumori e i contrasti con il movimento convulso di uomini e
mezzi, tu rimanga un po' interdetto. Forse un certo senso di pudore ti vieta
di dire apertamente che poco ti piace di quello che vedi.
Ma il nostro viaggio continua. Una volta che ti sei lasciato l'oceano dietro
le spalle e non scorgi più gli edifici della città e il suo traffico,
l'orizzonte si allarga sempre più. Allora cerchi con gli occhi quel ritmo
e quell'armonia che ti fa esclamare: Che bello!
E' deludente viaggiare attraverso la savana con il cuore
abituato a incontrare i ritmi solenni di Piazza s.Pietro o l'eleganza severa
e semplice di un rione d'Assisi. La savana è di una bellezza nuda e povera,
molto affine alla perfetta letizia e a madonna Povertà di Francesco di
Assisi. E' fatta di piccole cose, che si ripetono senza fine. I contorni vasti
degli spazi, i grovigli di vegetazione fatta di umili piante e di erbe si fondono
e si amalgamano in una unità indefinita e monotona di colore, di luce
e di forme. Il sole, quando è padrone del cielo, ti obbliga a tenere
umile e basso lo sguardo. Ti senti come indifeso, povero e solo, se non riesci
a trovare una nota che ti metta in sintonia con quel tutto. Così le ore
passano lente mentre l'auto in corsa ti offre fiumi di istantanee umili e povere
di questa terra, della sua gente, delle case e dei campi.
Il mare è ormai a 400 Km lontano, ad est. Arriviamo all'estremo lembo
della terra dei Wagogo, scendendo da una catena di monti che dolcemente ti ha
portato con vasti giri sinuosi dai 500 della piana di Morogoro ai 2000 metri
sul livello del mare. Il territorio sta davanti a te come un immenso catino
ondeggiato qua e là da dossi dolci e qualche torre di roccia, che ha
resistito all'erosione dei secoli. Lo sguardo si perde lontano fin dove cielo
e terra divengono un'unica cosa. Quando Satana prese Gesù e lo portò
sopra un monte e gli fece balenare l'orgoglio di avere il possesso su tutto
ciò che il suo sguardo poteva abbracciare, probabilmente scelse un posto
simile a questo. Era questo il pensiero che mi veniva a galla ogni volta alla
vista di questo spettacolo. Gesù avvertì l'inadeguatezza del desiderio
umano di fronte alle proporzioni di quella visione, che mai nessuno avrebbe
potuto realmente far propria.
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E' il giorno della Mnada, la fiera periodica intrapaesana:
un'occasione unica per prendere contatto con la gente di questa savana: i Wagogo.
E' il nome della tribù della zona; ma già gli stili diversi delle
case, la loro particolare disposizione nel villaggio ti hanno fatto intuire
che il territorio non è esclusivo di una sola tribù.
Fin dal mattino, quando è ancora buio, il rumore insolito di automezzi,
il parlottare lontano della gente per strada e il tintinnio sordo di campanelle
al collo del bestiame in cammino, annunciano che è un giorno speciale.
Lo sanno anche i maestri: sarà più duro trattenere i ragazzi a
scuola e sventare i loro continui tentativi ingegnosi di immettersi nel flusso
sparso ma continuo di gente, di merci e animali, di cibi e bevande, che da ogni
parte converge verso un'unica zona. Una mnada val ben 10 frustate, la punizione
del giorno seguente per chi marina la scuola. Alla mnada non ci si va per qualche
bisogno; ci si va come ad un lavacro di forza e di vita.
Vedi dei vecchi in disparte, che, sorseggiando a turno dallo stesso recipiente
di plastica pieno di pombe, parlottano di qualche affare; sondano le possibilità
o la convenienza di un matrimonio o ne raddrizzano uno in pericolo. Parlano
in modo calmo e distratto con frasi, che sembrano aver nulla a che fare con
il loro argomento. Sono loro che guidano la grande famiglia, amministrano gli
averi vendendo, acquistando o solamente facendo sfoggio della loro ricchezza.
Portano ancora i segni dei tempi passati: il tatuaggio della tribù, gli
orecchi forati e il lenzuolo avvolto attorno alle spalle. Per i giovanotti,
dal taglio dei capelli ispirato alle mode della città, ogni faccenda
da fare è sempre un pretesto per mostrare forza ed energia. C'è
sempre troppo caldo per non slacciare qualche bottone della camicia o mettersi
a dorso nudo così che il vigore del corpo robusto ed asciutto parli da
sé. La pelle delle ragazze e delle giovani donne e i loro capelli luccicano
al sole per le abbondanti lozioni di oli. Sono disinvolte, solerti ed efficienti;
lo sguardo è dimesso, mentre le mani tornano continuamente a stringere
la Khanga, così che tra i vivaci colori del tessuto non si perda mai
il contorno netto dei fianchi.
![]() Questa è la mnada: un incontro e una festa dove ciascuno mette in mostra se stesso con quello che ha, mentre è in cerca di qualcuno o qualcosa che ha smarrito o che ancora non ha. |
La giornata trascorsa al mercato, la mnada, ha lasciato
certamente qualche traccia di quella magia di cui è pervasa, che va ben
oltre il mercato o uno scambio di beni. Sotto la coltre esteriore c'è
la celebrazione e l'esaltazione della vita nelle sue molteplici manifestazioni,
negli intrecci fra le persone e le cose necessarie alla vita.
E' con questa stessa convinzione che ti consiglio di entrare in chiesa per la
messa domenicale. Vi è il solito viavai tipico di gente vestita con il
meglio del guardaroba e con messali e bibbie in mano. Si radunano senza fretta
verso un medesimo luogo per la messa o qualsiasi altra cerimonia celebrata nelle
chiese delle numerose denominazioni cristiane. Niente di straordinario nel rito,
che naturalmente ricalca quello di ogni messa in ogni parte del mondo, se non
alcuni particolari, dovuti alle caratteristiche del luogo. Il meraviglioso sta
in come l'assemblea si fa assorbire durante il rito, divenendo il segno dell'unione
a Cristo, che lo stesso rito significa. La messa comincia già da casa,
durante il tragitto; poi si protrae anche al di fuori, fino all'assopirsi del
dinamismo interiore, che si accumula durante questa esperienza in comune di
Dio. Il rito di introduzione è già fuori della chiesa con le chiacchiere
del più o del meno, i modi più svariati di dimostrare interesse
l'uno per l'altro e le interminabili strette di mano. Già da qui si crea
l'atmosfera di unisono e di compartecipazione, che poi le parole e i gesti del
rito fanno crescere e la rendono messa e non una mnada. La presenza misteriosa
di Cristo con coloro che si riuniscono nel suo nome diviene gravida e palpabile
altrettanto come lo è nel pane e nel vino. Come alla mnada, c'è
l'istinto congenito di immergersi e perdersi attratti da un insieme mistico,
che è sorgente vitale e presenza misteriosa di Dio. Il gesto acquista
solennità particolare quasi fino all'ostentazione. Il canto spreme tutta
la potenza dalle ugole: i piano e gli adagio sono travolti dalla foga del coinvolgimento,
fino a che anche il corpo gradualmente si fa prendere dal ritmo del canto e
dalla pienezza, che vibra nell'anima. E' bello, Signore, stare qui: facciamo
tre tende...! Il senso del tempo che passa si perde. Il peso della vita quotidiana
con le sue pene si scioglie col gettare nel Signore l'affanno, finché
non arrivi il ristoro. Il ristoro del signore non può mancare; perfino
i bambini ne vengono presi, mentre sale il vigelegele di eccitazione delle donne
e gli occhi di tutti sono fissi all'altare
Si parla di inculturazione nella liturgia, di vesti, di pane se di grano o di
miglio, di strumenti più consoni all'espressione di un popolo. In queste
celebrazioni l'anelito all'incontro vivificante e purificatore con il divino
e il mistero è parte del bagaglio di ciascuno nato in questi villaggi.
Ci può essere un certo ritegno a lasciarsi prendere dal dinamismo della
celebrazione, specie nelle nostre assemblee cattoliche, che eccellono per sobrietà.
Sta alla capacità del sacerdote con la parola, con l'intensità
della sua presenza saper evocare momenti e modi con cui anche l'assemblea si
apre all'espressione della sua presenza attiva e vitale. Non è una questione
di tecniche o conoscenze particolari. Si tratta di offrire i ponti che collegano
i momenti della messa con la vita di ciascuno e l'espressione dei suoi bisogni
e delle sue speranze interiori. Se il sacerdote ci riesce, ti accorgi che la
predica o i gesti sono interrotti da frequenti risate o altre sottolineature,
che più che umorismo, sono un assenso e una sintonia. Non è raro,
poi, che qualcuno legato ai modi del passato, alla fine della messa, ti metta
solennemente in mano pochi spiccioli come per dirti che è felice di aver
trovato quello che in fondo era venuto a cercare.
Il
miracolo delle stampelle
Annuncio dell'evangelo e aiuto allo sviluppo e alla promozione umana globale, sono i due aspetti della "missione ad gentes". Questo comprese molto chiaramente il missionario cappuccino toscano p. Angelo Simonetti. Egli è ritornato alla Casa del Padre qualche anno fa, rimpianto da tutti come uomo di fede semplice e profonda, intelligente "imprenditore" e affettuoso papà per tanti bambini.
La presenza di P.Angelo Simonetti sarà a lungo percepita in un villaggio della regione di Dodoma, il villaggio di Mlali. Là, il P.Angelo Simonetti è stato l'ideatore e in parte il costruttore del Centro di Riabilitazione Bambini Motolesi.
Assistenza agli handicappati di Gigesa e di Mlali
Dalla lontana India, dove era andato missionario in
giovane età, si recò in Africa, spinto dal desiderio di mettere
a servizio le sue notevoli risorse di dinamismo e senso pratico. In Africa centro-orientale
fece svariate esperienze: assistenza agli immigrati italiani in Tanzania e Zambia,
lavorò in specifici territori di missione e infine in Etiopia, dove realizzò
un centro a favore dei bambini portatori di handicap fisici nella città
di Gigesa. Successivamente fece ritorno in Tanzania, con la precisa idea di
concretizzare anche là il progetto che aveva realizzato in Etiopia.
Scrive un confratello: "Quella che chiamammo, insieme agli amici, la meravigliosa
avventura, prese il via nel luglio-agosto del 1982. Un gruppo di giovani di
Siena era partito per un campo lavoro. Lavorando gomito a gomito con gli operai
africani riuscirono a costruire un acquedotto lungo tre chilometri per portare
acqua dalla montagna al luogo fissato per il Centro, avvicinandola quindi anche
a tutta la gente del villaggio. "Il piccolo nucleo di volontari - racconterà
poi il p. Angelo - costruì anche una preziosa cisterna che conteneva
circa 80.000 litri di acqua. Fu quest'opera la pietra miliare sulla quale poi
fu costruita tutta la struttura". Trascorsero ben sei anni, in mezzo a
tante difficoltà, prima che il progetto potesse concludersi felicemente
nella primavera del 1988.
Anno dopo anno, al gruppo Gi.Fra. di Siena si unirono altri gruppi: da Prato, da Firenze-Montughi e da Terranova Bracciolini, più alcuni singoli collaboratori e tecnici provenienti da diverse città toscane e non. Le strutture costruite furono di vario genere: reparto Casa Accoglienza dei bambini ospiti, munita di tutta l'attrezzatura necessaria al buon funzionamento e alla corretta gestione; ambulatorio per la prestazione delle cure e per l'opera dei fisioterapisti; la palestra, ampia e dotata dell'attrezzatura adeguata; e, recentemente, grazie all'intervento finanziario della "Mission" tedesca, il Centro si è arricchito di sala operatoria e di un dispensario medico. Adiacenti vi sono abitazioni per i volontari, semplici, ma accoglienti e indipendenti, secondo le precise disposizioni delle associazioni di volontariato. Non mancano, inoltre, le officine per una maggiore autonomia del Centro: falegnameria, officina meccanica e laboratorio dove si preparano le protesi; un frantoio per la preparazione di olio di semi e un mulino. Il terreno in dotazione del Centro è ben curato e include un allevamento di bestiame per la sana alimentazione dei bambini ospiti.
P. Angelo non curò soltanto l'aspetto strutturale
del Centro, ma volle dare ai bambini anche il meglio sul piano umano. A questo
scopo si mise in cerca di un istituto femminile che accettasse di prestare anche
lì la sua opera. Proprio alla vigilia dell'inaugurazione del Centro ricevette
la disponibilità delle Suore terziarie cappuccine della Sacra Famiglia.
Esse svolgono tra i bambini il ruolo di mamme, circondandoli di vero amore.
Fin dall'inizio p. Angelo volle che l'opera fosse guidata dai Cappuccini, rivolgendo
preghiera ai superiori della nuova Provincia Religiosa Cappuccina del Tanzania
di assumersi la cura e la responsabilità di questa preziosa struttura.
Il Centro di Mlali è testimonianza di povertà evangelica e di
carità, di promozione umana e di condivisione con il mondo della sofferenza,
finalizzato ad aiutare questi piccoli a vivere con dignità e a inserirsi
meglio nella società, con uno sguardo di speranza verso il futuro".
A questo punto è utile riportare una testimonianza che rivela la realtà
cui il centro di riabilitazione di Mlali cerca di far fronte. La testimonianza
è stata tratta dalla rivista Eco delle Missioni dei cappuccini toscani
e il racconto è di Giorgio (Grosseto).
"Qualche anno fa ero in Tanzania, a Mlali appunto. Era un pomeriggio, sul
tardi. Le attività lavorative erano cessate. Dietro al cancello, al di
là della rete di recinzione, vidi giungere due biciclette con due uomini,
una donna e un fagotto. Da lontano non distinguevo bene. Mi avvicinai incuriosito.
Intanto il fagotto era stato depositato a terra. Superato il cancello, osservai
meglio, mentre il guardiano era corso a chiamare p. Angelo e Suor Lusina. Appena
giunto all'altezza di quelle persone, guardai ed ebbi un sussulto: quello che
vidi non era un fagotto, ma un ragazzo di circa quattordici anni, avvolto in
stracci. Vidi gli occhi imploranti di quelle persone e quelli smarriti del ragazzo.
Mi chinai verso di lui e notai che era handicappato. La gamba destra era rattrappita
dalla poliomielite, la coscia coperta di uno straccio di colore indecifrabile.
La donna svolse quell'assurda fasciatura e ai miei occhi apparve una ferita
purulenta, slabbrata, di un rosso cupo che si stagliava nettamente sulla pelle
scura. La parte centrale della ferita - orrore a dirlo - pullulava di vermi.
150 km per far curare il figlio
E' stato un pugno allo stomaco. Mi sono allontanato
bruscamente, incapace di qualsiasi riflessione: ero sconfitto dalla mia impotenza.
Nel frattempo arrivarono padre Angelo e le suore; un rapido sguardo e il ragazzo
venne portato nella piccola infermeria del centro. Quel poco o tanto che fecero
non so. Fuggii piangendo. Ciò che venni a sapere in seguito, mi sconvolse
ancora di più. Quelle persone avevano percorso 150 chilometri per raggiungere
il centro, impiegando, attraverso i sentieri della savana, due giorni e una
notte. Avevano avuto notizia che lì, nel centro del Kituo, il loro figlio
poteva essere assistito e la speranza aveva fatto loro percorrere tutta quella
strada in tali condizioni.
Pensate forse che, a questo punto, vi dica che riuscirono a risolvere il problema
del giovane…No, purtroppo no! Ed è qui la mia più grande sofferenza.
Troppi erano gli impedimenti per cui il ragazzo non poteva restare. Anche se
il cuore di tutti urlava…, hanno dovuto rimandarlo indietro. E così quella
povera famiglia ha dovuto percorrere altri 150 chilometri, per due giorni e
una notte, con il cuore aggravato da un'altra, cocente delusione.
Perché vi ho raccontato tutto questo? Per dire a tutti quelli che ci
leggono di stare vicini ai missionari, a quelle persone meravigliose che dedicano
la propria vita a questi cristi messi in croce tutti i giorni. Il loro amore
verso gli ultimi deve essere anche il nostro. Aiutiamoli a non dover respingere
nessuno dei nostri fratelli colpiti dalla sventura.
Nel Centro di Mlali oggi non viene respinto nessuno; per tutti c'è assistenza;
c'è un bellissimo ambulatorio, costruito con l'aiuto di tanti. Perché
possa continuare occorre anche la costante, amorevole e generosa attenzione
di amici e simpatizzanti di un'opera che, se voluta dai missionari, resterà
per la solidarietà di tutti.
L'Africa è stata la terra delle promesse, ma anche delle delusioni. Si è cercato di individuare in quelle terre nuovi modelli di sviluppo culturale, politico e religioso, modelli diversi da quelli tradizionali, sperimentando il nuovo e ricercando un'autenticità non più presente nel nostro vecchio mondo.
Si è anche sperato che l'Africa - venuta all'indipendenza
politica nella seconda metà di questo secolo - uscisse in modo nuovo
e originale dalla storia d fame, miseria e schiavitù, proponendo al mondo
uno sviluppo armonico sociale ed economico. Le cose non sono andate come si
sperava: guerre, carestie, odi etnici, dittature politiche, pesanti e negativi
condizionamenti da parte delle potenze economiche, hanno spesso tarpato le ali
agli ambiziosi progetti di chi sperava che dall'Africa venisse un mondo nuovo,
migliore.
Alla delusione si è associato, talvolta, il disinteresse e il fatalismo.
Persino molte espressioni di solidarietà che circondavano l'Africa sono
venute meno. Gruppi, associazioni, enti che del proselitismo terzomondista si
erano fatti una bandiera, si sono ridotti a poca cosa, o sono spariti. Chi è
rimasto testimonia, invece, che per mantenersi l'interesse per l'Africa non
doveva limitarsi alla curiosità per l'esotico, il diverso, o risolversi
in fuga dalla realtà verso terre sognate. Chi è rimasto concretizza
la propria presenza in esperienze di solidarietà, di testimonianza e
di promozione, fondate su dei valori, primo fra tutti il rispetto della persona
umana riconosciuta come riflesso del volto di Dio e un fratello o una sorella.
Solidarietá con i campi di lavoro
Parlare di Africa e di missione, per gli amici dei Missionari cappuccini toscani, significa prima di tutto sottolineare l'esperienza ormai trentennale dei Campi di lavoro. Così li hanno chiamati i missionari e mi riferisco alla Tanzania. Si tratta, come tutti sanno, di gruppi - giovani in prevalenza - che si recano in quella regione missionaria per dare una mano. Per tutto il tempo della loro permanenza vengono impegnati come muratori, manovali o altre esigenze per portare a termine delle microrealizzazioni. Un genere di collaborazione missionaria iniziato cerca trent'anni fa e che ha visto la realizzazione di dispensari, scuole materne, centro di riabilitazione per bambini portatori di handicap, chiesette in diversi villaggi, ecc. Le ragazze sono state impegnate come ausiliare infermiere o ausiliare maestre di asilo. Lavori e servizi umili e semplici, uniti a testimonianza di amicizia, a concreto sostegno nella vita quotidiana.
"Non grandi opere, ma… opere grandi"
Al di là del supporto tecnologico si fornisce
un gesto di gratuita fraternità, molto apprezzato da popolazioni così
spesso vituperate e umiliate dal mondo occidentale e dalla sua arrogante "civiltà".
I giovani collaboratori laici hanno sempre ricavato, da queste esperienze, quella
scossa vivificante che le frontiere dell'evangelizzazione danno a tutti coloro
che l'avvicinano. Al ritorno, la scala di valori su cui ogni partecipante imposta
la propria esistenza subisce una sterzata: al primo posto balza l'essere, invece
che l'avere.
San Francesco privilegiava chi quotidianamente, con il proprio sudore portava
una pietra per riparare la chiesa di san Damiano. Ci piace immagine che i numerosi
campi di lavoro in Tanzania siano stati come tante piccole pietre per l'edificazione
di un mondo più fraterno e più giusto.
Utilità dei campi di lavoro
Mi é stata chiesta una breve relazione sui vantaggi dell'esperienza trentennale dei cappuccini toscani e dei nostri amici laici in Tanzania. Prima di ricevere l'incarico di responsabile del centro di animazione missionaria, che ora ha sede a Prato, collaboravo con il segretariato missioni fin dai tempi di P.Bernardo Gremoli (ora Vicario Apostolico di Arabia) accompagnando gruppi per un'esperienza diretta. Il mio predecessore P.Oneglio Bacci , intensificó questa iniziativa allargando la partecipazione ad altri confratelli disponibili. Dopo alcune "prove di assestamento" le altre hanno raggiunto buoni risultati sia sul piano delle concretizzazioni sia su quello spirituale dei singoli, dei gruppi e delle comunitá dalle quali essi provenivano. Non cerchiamo applausi ne vogliamo comunicare quanto realizzato per mania di trionfalismo. E' certo, comunque, che mediante queste esperienze e presenze, qualcosa di nuovo é nato e cresciuto, qualcosa che, con la fatica degli africani e dei volontari, ha camminato piú speditamente risolvendo qualche difficile problema.
Riflesso sui singoli partecipanti
Spesso i singoli partecipanti hanno fatto e comunicato esperienze davvero toccanti. Il contatto con la realtà della povertà, della fame, delle malattie, della carenza di igiene, di acqua potabile, di educazione scolastica ecc., ha prodotto dei veri cambiamenti di vita nei giovani. E questo al di là dei più facili sentimentalismi iniziali. Sono stati frequenti episodi di ridimensionamento delle proprie esigenze consumistiche e psicologiche, un nuovo orientamento verso l'essenzialità. Abbiamo notato anche una maggiore disponibilità e attenzione ai problemi degli altri in genere, dei più emarginati in particolare. L'esempio poi dei fratelli missionari e delle popolazioni locali, il loro senso di ospitalità, di accoglienza, di fraternità, la serenità, lo spirito di preghiera e l'impegno pastorale, ha fatto sì che i nostri giovani e non più giovani sentissero la necessità di approfondire la propria vocazione cristiana e il loro essere chiesa. Molti hanno compreso cosa volesse dire "essere convocati dalla Parola di Dio per celebrare l'Eucaristia ed essere poi rilanciati nel mondo per portare il lieto annunzio e costruire il Regno mediante diretti rapporti umani".
Testimonianze dal "campo" Stefano.Il 9 luglio saluto i
miei genitori e parto per il Tanzania. Li rivedrò il 21 agosto.
Sento dentro una profonda emozione, sia per il distacco dalla mia
famiglia, sia per il grande desiderio che provo di conoscere l'Africa,
paese di cui ho sentito parlare tante volte e del quale ho visto
immagini toccanti per bellezza e drammaticità. Sento d amare
già questa terra… La gente che incontro ha il volto sorridente;
da loro traspare la semplicità e la gioia di vivere. Le loro
capanne hanno ciò che per loro è essenziale, ma ai
miei occhi e stando alle mie abitudini sembrano prive di tutto.
con quell'odore acre che all'inizio proprio non accettavo, ma che
con il passare dei giorni finisce per diventarmi familiare. Chiara.
Ad un mese di distanza dal mio ritorno dalla Tanzania posso delineare
le riflessioni e le immagini che si sono scolpite dentro di me in
quei 45 giorni. Ognuna di noi era andata laggiù con un bagaglio
diverso di esperienze e quindi diverse sono state le risonanze di
quanto abbiamo visto, sentito, percepito. Francesca
e Mariangela. "Questa volta, finalmente, "ho capito…ho
ricevuto"…". Diciamo che non abbiamo capito niente, che
abbiamo ricevuto un vuoto nel cuore, un silenzio desolante. Abbiamo
conosciuto in Africa il Dio che parla, il Dio che ascolta… Ma questa
volta si è "tappato la bocca", lavorando su di
noi con delicatezza, lavorando solo con lo suo sguardo: Il Dio che
guarda. |
L'esperienza dei singoli e dei gruppi si è in
primo luogo riversata sulle comunità di provenienza, là dove persone
sensibili si dedicano ad una collaborazione più silenziosa e nascosta,
ma non meno efficace. Molte comunità, intere parrocchie sono state coinvolte
in queste iniziative, sia nella fase preparatoria come al momento della realizzazione,
con contributi, sacrifici e preghiere. Questa nuova attività dell'animazione
missionaria, che in un primo momento poteva dare l'impressione di una gioiosa
avventura o di un "safari" fotografico, o più ancora una vacanza
diversa, organizzata per i più giovani, con il passare del tempo è
diventata impegno quotidiano di carità per molte comunità e parrocchie.
E' diventata uno strumento pastorale, la riscoperta che essere Chiesa significa
"Missione". Ogni comunità ecclesiale è per natura sua
e a modo suo in missione. "Questo corpo che è dato e questo sangue
che è versato lo è per voi e per tutti". Per "tutti",
quindi, non per la mia piccola chiesa, non per mia piccola o grande parrocchia.
Abbiamo avvertito che da questa nuova carica ricevuta nell'esperienza missionaria
diretta sono scaturite dimensioni nuove nella comunità. La dimensione
della solidarietà, della carità, dell'apertura agli altri e non
solo ai lontani in senso geografico, una disponibilità e una missionarietà
anche nelle realtà locali. Infatti è qui che ho notato una maggiore
spinta missionaria, che non solo ha coinvolto altre persone nella missione "ad
gentes", ma ha prodotto anche un'apertura maggiore verso quel "Terzo
mondo" che abbiamo in casa.
Riflessi nella pastorale vocazionale
Tutti siamo convinti che chi chiama è il Signore.
La vocazione è essenzialmente dono di Dio. Ma sappiamo anche che Dio
si serve degli uomini, di segni e soprattutto di testimonianze che i discepoli
suoi danno al mondo, creando comunione tra gli uomini e rendendo visibile l'amore
vero. Un amore fatto non di parole, ma di fatti, di dedizione e condivisione.
Molte comunità incontrate in Tanzania possiedono queste qualità.
In particolare l'esempio dei missionari, uomini e donne, consacrati o laici,
che hanno contribuito al nascere e al maturare di vocazioni sia alla vita di
speciale consacrazione, sia a forme di volontariato laicale permanente.
Questi sono alcuni degli aspetti positivi che ci fanno capire la validità
dell'esperienza dei campi di lavoro. Ve ne sono anche altri e vi saranno anche
dei difetti, delle lacune che verranno eliminate man mano che diverranno evidenti.
Intanto non possiamo però che ringraziare i fratelli missionari per la
loro disponibilità ad accogliere, ad appoggiare e accompagnare queste
iniziative.
Come un visitatore ha visto i missionari fiorentini in Tanzania e la loro preziosa attivitá apostolica, promozionale e assistenziale
Sarebbe imperdonabile lasciarci, senza mettere a fuoco
questo gruppo di suore e di frati, che spuntano puntualmente sorridenti ogni
qual volta che l'auto entra nel cortile della missione. Ne abbiamo incontrati
diversi tra frati e suore. Hanno in comune le facce indurite dal sole, le mani
ruvide delle persone avvezze ad ogni genere di lavoro, il parlare largo e semplice,
il sorriso sempre pronto a sbocciare. I primi arrivarono qui ormai quasi mezzo
secolo fa: un po' allo sbaraglio, armati della ferma certezza che il Signore
era con loro e carichi di entusiasmo come i cristiani alla prima crociata. Trovarono
dei buoni samaritani tra la gente del posto. Pazientemente, da finti ciechi
e sordi, li accompagnarono durante i primi passi, fino a che impararono a cavarsela
in un mondo, che di simile al loro aveva solo l'acqua, il cielo e la luna di
notte. La gente li guardava con sospetto, ma curiosa di vedere come quegli uomini
e quelle donne fuori della norma, caparbi e con un modo così complicato
e ridicolo di vivere, se la sarebbero cavata. Passando per quelle zone ora,
vedendo le piccole ed eleganti chiese e tutto il movimento attorno ad esse,
i tanti piccoli e grandi segni della loro presenza e frotte di bambini, che
portano nomi venuti con loro, non c'è dubbio: ce l'hanno fatta. Se sono
riusciti a farsi ascoltare è segno che facevano bene e che sono riusciti
a farsi amare, ad essere qualcosa o qualcuno per la gente. Si sono adattati
ad essa facendosi vedere in qualche modo parte di loro. Difficilmente troverai
fra questi missionari quelli che si sentono lontano da casa o che di sera e
nella quiete notturna ricostruiscono il loro mondo lontano.
In fondo sono simpatici. Sono persone scolpite a tutto tondo dalla vita e plasmati
apposta per questa missione. Hanno un forte senso di paternità e maternità
con tutti i pregi e gli eccessi che tale stato comporta: intransigenti e duri
da una parte, indulgenti e finti ciechi dall'altra. Non hanno paura del sacrificio:
la vita è movimento come un ape, che, attratta dai mille colori dei fiori,
non si stanca mai di passarli e ripassarli fino a che perdura la luce. Sono
generosi a mettere a disposizione tutto quello che hanno, come sono pronti a
tratte profitto da tutto e da tutti coloro che entrano nel loro raggio. Non
stiamo a guardare i loro difetti; tanti, come i loro pregi, e tutti da essere
perdonati, perché redenti dalla dedizione e dal dono di sé. Vivono
quel periodo bruciante dell'epopea, dove lo slancio è forte, la dedizione
incondizionata e la certezza della meta anela a bruciare le tappe. Momenti duri
ce ne sono? Certo! Sono uomini come tutti gli altri. Quando i frutti sperati
invece di avvicinarsi sembrano prendere la direzione opposta, c'è sempre
il bisogno di rientrare in sé, farsi carico delle proprie illusioni,
riconoscersi piccoli e inutili servi di Cristo, per trovare la forza di ricominciare
in un'altra direzione.
Si chiama fr. Egidio Guidi e lo si potrebbe definire anche "il fachiro della savana", non perché incanti i serpenti - casomai li licenzia all'altro mondo -, ma per l'espressione del viso e la struttura fisica. Una frotta di missionari cappuccini toscani, più un gruppo di partecipanti al campo di lavoro, lo hanno voluto festeggiare in occasione del 50° anniversario della sua professione religiosa.
Alla festa era presente anche il Segretario provinciale
dell'animazione missionaria, fr. Corrado, che descrive l'evento in questi termini:
"Fr. Egidio è stato circondato dai confratelli e da tutti i presenti
con tanto affetto e simpatia, riconoscendo in lui doti di profondo spirito apostolico
e missionario. Per me, che non sono più nuovo di presenza in Tanzania
è stato un momento ricco di emozioni e di ricordi.
Innanzitutto è motivo di grande gioia constatare che, rispetto al tempo
delle mie prime visite in questo territorio, oggi le condizioni sono migliorate:
non si vedono più in giro bambini con pancini gonfi da avitaminosi, coperti
di miseri stracci; adesso in genere sono nutriti e curati. L'abbigliamento,
sia dell'uomo che della donna, manifesta il superamento della miseria in cui
la popolazione viveva anni orsono, anche se rimangono ancora grandi sacche di
povertà e la minaccia della malattia del secolo che falcia vittime senza
pietà, cioè l'aids. In questo contesto i missionari restano, per
la società civile e per la chiesa, punti di riferimento solidi come colonne,
al riparo dal tempo e dai cambiamenti.
Lo scorso 13 settembre li abbiamo ritrovati quasi tutti, intorno a fr. Egidio
Guidi, uno dei pionieri della missione tanzaniana. I capelli sono più
bianchi, come pure le barbe, ma l'entusiasmo è sempre vigoroso e contagioso
come tanti anni fa. Fr. Egidio, il festeggiato, primo parroco di Mlali, viene
denominato "l'uomo della notte", mito viaggiante; le mani sempre a
frugare fra ingranaggi e pezzi di motore, gli occhi "da scienziato pazzo",
come lo definì tempo fa una bambina; sempre uguale a se stesso, senza
possibilità di cambiamento.
![]() Il 2 febbraio 1996 i Cappuccini hanno eretto in Tanzania una Provincia, la seconda nel continente africano (la prima é quella eritrea), dedicata a S.Maria Assunta e composta da circa 200 religiosi, di cui 150 africani. Arrivati nel 1921 con sei religiosi svizzeri, i missionari trovarono un fertile terreno vocazionale, favorito da una situazione ambientale consona allo spirito francescano. Molte vocazioni venivano indirizzate ai Cappuccini dal clero secolare "perché - dicevano i sacerdoti -essi pregano e hanno un vero spirito religioso". La maggiornza delle vocazioni era (e in parte lo é ancora) composta da religiosi non sacerdoti, professionalmente ben preparati, tanto da assumere la direzione di scuole di ogni genere e grado e di impegnarsi efficacemente nel campo dell'evangelizzazione, dell'assistenza e della promozione. Fra i sacerdoti uno é vescovo. Con i cappuccini locali lavorano ancora religiosi provenienti soprattutto dalla Svizera e dall'Italia (Provincia di Firenze). |
Ho rivisto fr. Fabiano Cutini, attuale parroco di Mlali,
laborioso artefice di una sorta di politica di auto-aiuto che ha reso la gente
di quei luoghi più responsabile. Poi fr. Enrico Briganti, patriarca segnato
da qualche acciacco, ma sempre pronto a tornare sul fronte. Vicino a fr. Egidio
non poteva mancare fr. Mario Maccarini, venuto a posta da Dar-es-Salaam, che
in passato ha fatto spesso coppia con fr. Egidio nelle missioni più disagiate,
ancora scolpito nella roccia di una autorevolezza senza età. E c'era
anche "il Gosto", mitico pilota di trattori e toyota, che i serpenti
li arrota invece che arrotolarseli al braccio e al collo. C'erano anche fr.
Leonardo e fr. Silverio: l'uno sempre sanguigno e apparentemente inquieto, l'altro
imperturbabile e sorridente, che per questa volta non faceva coppia con l'altrettanto
serafico e scettico fratello Borri. Ci sono mancati, per forzate assenze, fr.
Pietrino, col suo basco a maquis francese degli anni quaranta e le braccia muscolose
di un ventenne; come pure fr. Giorgio, cuoco delle prime esperienze, sempre
aggrappato alle vocali aperte di un esilarante livornese, cantilenato anche
in swahili. Fr. Silvanino Nardi e Stany erano via in cerca di fondi per il Kitwo,
mentre fr. Vincenzo Gherardini era felicemente prigioniero nella casa di ritiri
di Mbagala, ad ascoltare le sante confessioni di anime innocenti.
Grande assente alla festa Suor Valeria, la "mamma" di qualche decennio
addietro, rappresentata però da un gruppo delle sue figlie africane,
ora sorelle della congregazione, che sul suo esempio rinnovano gesti di carità
fraterna e dispensano tenerezze materne ai numerosi bambini che convengono alla
missione.
Concludendo possiamo dire che molto è cambiato rispetto al passato e
ne siamo felici, perché è segno di crescita a molti livelli; ma
molto è anche rimasto, in particolare la giovinezza dello spirito, segno
della vita stessa di Dio e che ci ha fatto sentire carichi dello stesso entusiasmo
dei primi anni".