E’ in Nigeria il primo Convento Cappuccino costruito in onore del beato Padre Pio da Pietrelcina
IBADAN è una
grande città della Nigeria Occidentale, dove vivono circa quattro milioni di
persone, prevalentemente di lingua Yoruba. Si distende all’infinito su valli e
colline.
Frate Sole che, la mattina presto, vuole entrare in città per salutare i
suoi abitanti, da un poco di tempo incontra una bella sorpresa: procedendo da
Est, come è solito fare da milioni di anni nella sua passeggiata preferita,
sbuca trionfante tra le rigogliose chiome della foresta equatoriale. Poi, prima
di accecarsi di rosso, e sorvolare la marea dei tetti di lamiere antiche, che
ondeggiando ripetono il movimento incessante del terreno, accarezza la collina
di Olunde e con un sussulto s’imbatte su di una bianca Croce. Essa
sovrasta il nuovissimo convento dei Frati Cappuccini: Padre Pio -
Capuchin Franciscan Friary.
Sembra proprio un miracolo: questa croce, prima non c’era ed ora c’è!
La differenza non è davvero piccola. Dove si udiva il canto degli uccelli e la
eco di lontane moschee, adesso si sprigiona la gioia di un abbraccio fraterno.
Frate Sole con impressa sulla fronte il segno della croce, da buon cristiano,
incomincia la sua giornata, rigenerato. Prosegue, poi, la sua corsa incantata
verso il centro di Ibadan, osannando all’amore che vince.
Sporgente dal lato della torretta che contiene i serbatoi dell’acqua, la croce
è il prolungamento o meglio, la fiorescenza di uno dei tanti pilastri del
complesso edilizio a cui da significato.
Alla sua base, quando gli operai facevano le fondazioni, ci siamo alternati, noi
Cappuccini con le Consorelle Clarisse del vicino Monastero di Ijeu-Ode, a
lanciare dentro la fresca gettata di calcestruzzo le crocette e medagline più
care a noi Francescani. Avevamo bisogno di un segno tangibile che marcasse la
santità del luogo ed assicurasse una pioggia di benedizioni divine su
queste mura intrise, ce lo auguravamo, di valori evangelici.
Tra poco Frate Sole non rimarrà solo ad inebriarsi della croce: la nuova
abitazione dedicata a Padre Pio, nostro Confratello Cappuccino, risuonerà dei
canti e delle preghiere e delle filosofiche riflessioni e delle divertite risate
di baldi giovani che, felicemente, hanno iniziato a seguire Gesù Cristo, sull’esempio
di San Francesco di Assisi.
Il volto luminoso del convento risplende per questa
grande gioia: ospiterà nelle sue mura i frati per i quali esso è venuto
alla luce. Lo sa bene che questo è un punto in più, in suo favore.
Pur essendo costruito alla fine di un’era in cui, almeno in Europa, i conventi
sono proprio di troppo, perchè mancano i frati, lui "Padre Pio - Capuchin
Franciscan Friary" i frati ce li ha, e già belli e pronti.
Essi sono presenti nella casa in affitto di Jericho, ad Ovest, nella parte
opposta della città di Ibadan. Sono i diciassette studenti di filosofia che
già da tre anni vi vivono serenamente, anche se stipati in poche stanze,
impegnati negli studi di preparazione al Sacerdozio. Insieme ai giovani di altre
Congregazioni Religiose frequentano l’Istituto di Filosofia dei Padri
Domenicani, ancorati alla famosa Università della città. Un altro gruppo di
fraticelli sta attendendo nel Convento Cappuccino più vicino, a più di 500
chilometri di distanza, ad Onitsha, dove, non lontano dal maestoso fiume Niger,
è situata la casa di Noviziato e Postnoviziato. Il convento di Enugu,
alleggerito degli studenti di quattro anni di filosofia, rimarrà dedicato
unicamente alla preparazione teologica.
L’ultimo arrivato dei tre conventi della Nigeria, si aggiunge così
agli altri due di Onitsha e di Enugu, per concludere il ciclo della Formazione
iniziale dei Frati Cappuccini della Nigeria. Non avremmo mai pensato che l’inizio
del Duemila coincidesse con questo bellissimo traguardo. Dio è veramente grande
e generoso e certamente non privo di fantasia. Grazie, mio Dio! L’atto di fede
che quindici anni fa aveva motivato la nostra entrata in Nigeria è stato
brillantemente premiato per le tante gesta di amore di confratelli, di amici e
benefattori che, incodizionatamente, ci hanno sostenuto.
La nuova casa di Ibadan, ultima arrivata in Nigeria ma la prima ad essere
costruita nella parte Occidentale di questa popolosa Nazione, ha un importante
compito da svolgere. Come l’abito, anche il Convento non fa il monaco, ma lui
sa di essere uno strumento necessario. Per evitare di diventare un complesso
anonimo, tipo Collegio scolastico, ha subìto fin dal tempo della sua
progettazione dei tagli decisivi.
Il suo disegno a pianta centrale, con un chiostro che raccoglie i sospiri di
tutti, rivela che lo scopo primario è di contribuire alla sviluppo di una
Fraternità vera. I suoi Frati dovranno essere dei fratelli.
Nelle grandi sale del pianterreno adibite a Portineria, Cucina, Refettorio,
Biblioteca ed aule scolastiche, Lavanderia e Laboratori vari, come nelle
ventotto stanzette del primo piano, le classiche celle, i giovani frati
avranno spazi dove imparare a rispettare i tempi e luoghi di preghiera e di
silenzio ed esercitarsi nei molteplici compiti della carità fraterna.
Una sala che si affaccia sull’accogliente porticato esterno è adibita a
Cappella. Sul lato destro del piazzale, infatti, sorgerà la Chiesa Conventuale,
dove poter esprimere tutta la religiosità dell’anima africana in sintonia con
i Fratelli e Sorelle nella fede.
E’ proprio lì su quell’angolo di cielo che sono fissi gli occhi della
nostra mente: l’attesa di un campaniletto a vela, marcato da una piccola
croce, è troppo grande... e non c’è nuvola che passi e non la si veda
inchinarsi a questa altra croce che per ora non c’è!
Con un porticato aperto a forma di elle dovrebbe rassicurarci che la
costruzione di questo complesso destinato a Convento di Formazione degli
Studenti Cappuccini dei quattro anni di filosofia, è stata una cosa veramente
buona e veramente bella. Veramente bella e veramente buona perchè destinata non
solo a noi stessi, ma consacrata a Dio per essere dono per
gli altri. Si sa bene che tutte le volte che dei seguaci di San
Francesco di Assisi incominciano ad ammassare pietre, per costruire, entrano in
crisi: diventa per loro più difficile parlare del Poverello ed identificarsi
come pellegrini e forestieri in questo mondo.
La gente che ci circonda, anche se in prevalenza sono mussulmani, non ha di
questi dubbi. Qualcosa di buono, già lo avvertono, accadrà anche a loro. Forse
è con questa certezza nel cuore che, quando ci incontrano sullo stradone lungo
e polveroso che si inabissa nella foresta, ci danno il Buongiorno in modo
del tutto nuovo: ci dicono solo la parola grazie.
Guardando alla croce hanno cambiato perfino il nome del terreno su cui è stato
edificato il nostro Convento: al conducente del motorino che funziona da taxi
(questo sistema di trasporto si chiama bonariamente Okada, dal nome di
una Compagnia aerea privata!) non chiedere più di Olunde ma di’
soltanto Catholih e stai sicuro che ti porta di fronte al portone del
Convento dei Cappuccini.
Una croce amata, lo sanno bene non può far del male. Se ne trova una anche all’entrata
dell’ospedale che si prende cura delle loro mamme e dei loro bambini, nella
Parrocchia di Eleta.
Gli stessi operai del nostro cantiere ce ne hanno dato la prova: hanno
sostituito con una di marmo una piccola croce di legno che avevano inchiodato
fin dall’inizio dei lavori in portineria. Per tutti i quattordici mesi
impiegati nella costruzione nessuno di loro ha subito infortuni.
Ora che il Convento si erge come un bastimento pronto ad affrontare il mare
aperto e la sfida del nuovo millennio, viene affidato ai nostri Confratelli
Nigeriani. Sarà accolto, speriamo, con lo stesso amore con il quale è
sbocciato, quale fiore insolito al margine della foresta, per raccontare al
mondo la storia più bella, che Dio ci ama.
Venuti da un altro mondo non avevamo altra capacità che offrire il meglio della
nostra tradizione di Cappuccini e di Italiani e Toscani. Non potevamo non essere
noi stessi e non parlare secondo lo stile e la lingua più a noi
connaturale, rivestendolo delle linee classiche dei conventi che per secoli
hanno forgiato la vita dei nostri Santi.
Siamo convinti che non verrà considerato un Tukumbo, così come viene
chiamata tra gli Yoruba ogni cosa che viene da al di là dell’oceano,
roba spesso di scarto o di seconda mano importata dal Mondo Occidentale. Sarà
senz’altro vissuto per quello che è: un dono bello e prezioso dove i
Cappuccini Nigeriani faranno propri gli ideali cristiani e francescani tipici
del nostro carisma, per riesprimerli, incarnati, nella cultura africana
della Nigeria. Da loro sorgeranno i nuovi conventi nei quali si sentiranno di
casa i loro fratelli e babbi e mamme, come il dolce Fratello Gesù ed il Padre
Nostro San Francesco.
Ne siamo così certi che i tempi sian maturi, che nell’ ultimo Convento di
Ibadan, dopo le due Croci, vi abbiamo voluto inserire anche il Tau
francescano.
Incastonato nel cemento dell’Ingresso, lavorato a terrazzo, lo abbiamo
voluto di color rosso, la stessa fiamma dell’amore che sfida i secoli e non
può morire. San Francesco lo riconoscerà come il suo autografo e
tutti gli altri come il segno più fraterno di Benvenuto!