Category Archives: Giornalino

Dicembre 2001

Ma Cristo ha già vinto l'odio e la morte

Siamo di nuovo a Natale, e quale augurio posso formulare in questo momento tragico per l’umanità, se non un augurio di speranza! Oggi più che mai il mondo ha bisogno di speranza e di risposta alla propria speranza. Ne abbiamo bisogno per vincere le nostre paure: del domani, delle guerre, della morte. Ne abbiamo bisogno per credere in un mondo diverso: senza fame, senza ingiustizie, senza violenze, senza sopraffazioni. Ne abbiamo bisogno tutti: ricchi e poveri, giovani e anziani, deboli e potenti, del Nord e del Sud del nostro pianeta. Abbiamo bisogno di speranza. Ma dove trovarla? La stella di Natale, che guidò i Magi a Betlemme, ci indica la nascita di Gesù. La speranza del mondo nasce là, a Betlemme, nasce con Gesù e, ad ogni Natale, si rinnova e rinasce con Lui. È una speranza non solo dei poveri, ma nei poveri, perché è la speranza incarnata in un povero, Gesù. Infatti il mondo non lo salveranno i potenti, i grandi, i violenti o i terroristi, ma i deboli, gli umili, i poveri, i piccoli. La speranza che viene da Betlemme è affidata ad una parola “il verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”, non in mezzo ai chiacchiericci e ai balbettii degli uomini. Quella che viene da Betlemme è una speranza di autentica liberazione, perché chi nasce in quella grotta è l’Unico che può liberarci dall’egoismo, dall’odio e dalla violenza, dalla superficialità e dalla rispettabilità farisaica, dagli umanesimi dimezzati, dai nostri peccati di ieri e di oggi. Quella che viene dal presepe è una speranza per tutto l’uomo, perché Gesù è venuto per salvare tutto l’uomo, nello spirito e nella carne. Ed è per questo una speranza per la storia. Per la nostra storia personale e sociale. A Natale infatti Cristo entra nella storia, fa propria la vicenda umana, con ciò che ha di più grande e di più bello, ma anche con ciò che vi è di meschino, vile, peccaminoso. È una speranza che ci richiama all’impegno, alla presenza, all’azione. È il dinamismo di Colui che viene per liberare. Una speranza quindi che si fonda sull’amore non, sulla potenza, sul denaro, sulle armi. E neppure sul sapere. L’amore, è vero, sembra troppo debole per vincere le potenze del mondo, ma il Natale ci dice che è proprio l’amore a vincere. A cosa servirono la potenza e l’odio di Erode, di fronte all’indifeso amore incarnato? Infine la speranza che viene da Betlemme è l’unica che non può deludere, perché fondata sull’Emmanuele, Dio con noi… È una speranza che non rifiuta l’impegno dell’uomo, che cerca soluzioni attraverso dialoghi e nuove e più umane relazioni, ma che affonda le sue radici nel Mistero di Cristo Gesù. Solo la speranza nell’uomo Gesù Cristo ci rende capaci di sperare negli altri uomini e di creare un futuro migliore. In Lui la vita umana diventa possibile e vale la pena di essere vissuta. Perché basata sulla potenza della sua Resurrezione, che è la grande vittoria della vita sulla morte, dell’amore di Dio sull’odio degli uomini.

fra Corrado

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Ottobre 2001

Lo slancio delle origini

Amici e fratelli carissimi, con il Mese di Settembre il C.A.M. di Prato riprende il suo cammino, arricchito degli stimoli che abbiamo ricevuto nei Convegni e negli incontri di formazione precedenti, ma soprattutto dagli inviti che Giovanni Paolo II ci ha rivolto con la Lettera Apostolica “Novo Millennio Ineunte”. Il Papa parte dalla scena descritta da Luca al capitolo 5, con i fatti che si susseguono fino al versetto 11. Piace a noi riportare qui alcune riflessioni del Card. Tettamanzi contenute nella prefazione della Lettera Apostolica, che ci aiuteranno a farci coinvolgere nel nuovo cammino. “Prendete il largo”. Questa Parola di Gesù la troviamo all’inizio della lettera del Papa, che così scrive: “All’inizio del nuovo millennio, mentre si chiude il grande Giubileo in cui abbiamo celebrato i duemila anni della nascita di Cristo e un nuovo tratto di cammino si apre per la Chiesa, riecheggiano nel nostro cuore le parole con cui un giorno Gesù, dopo aver parlato alle folle dalla barca di Simone, invitò l’apostolo a prendere il largo per la pesca. (Lc.5,4). Pietro e i suoi compagni si fidarono della Parola di Cristo e gettarono le reti. E avendolo fatto, presero una grande quantità di pesci”. Questa Parola risuona oggi per noi, e ci invita a fare memoria del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro: “Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre” (Eb.13,8). La scena ha luogo dunque sulle rive del lago di Genezaret o di Tiberìade, dove avvengono l’annuncio e l’ascolto della Parola, e nel mare dove si svolge la pesca miracolosa. Su tutto emerge la figura di Gesù: è il missionario evangelico che passa da una contrada all’altra seguito dalla folla, è il Maestro che sulla barca insegna come da una cattedra. Ci colpisce, in questa prima scena, la folla che fa ressa intorno a Gesù “per ascoltare la parola di Dio”. La Novo Millennio Ineunte, centrata com’è sulla contemplazione del volto del Signore Gesù, sottolinea con chiarezza e con forza lo spazio irrinunciabile che, nella vita e nell’azione della Chiesa, deve essere assicurato dall’ascolto della Parola di Dio. E il Papa ci ricorda che la contemplazione del volto di Cristo non può che ispirarsi a quanto di Lui ci dice la Sacra Scrittura. Ma ancor più stimolante è l’ultima scena presentata da Luca, che assume toni entusiasmanti nella colorazione che il Papa gli dà nella sua lettera. Questa scena possiamo chiamarla “Chiamata all’apostolato”. “Non temere, da qui avanti sarai pescatore di uomini e... tirate le barche a terra lo seguirono”. (Lc. 5, 10-11). Simon Pietro aveva detto “Allontanati da me”; Gesù invece gli si avvicina, supera la distanza, lo incoraggia e gli apre un nuovo futuro, quello della “Missione”, con la quale lo associa alla sua stessa Missione: come fino a quel momento Simone aveva catturato pesci nel lago con la rete, così d’ora in poi dovrà catturare uomini per il Regno di Dio utilizzando la rete della Parola.” La Missione di Pietro è anche la Missione degli apostoli e, pur se in forme diverse, è la missione di tutti i discepoli di Gesù: essere annunciatori della Parola che salva, annunciatori della persona viva di Cristo, la Parola di Dio fatta carne. Per il Papa, all’inizio del nuovo millennio, l’evangelizzazione è la priorità della Chiesa. Per questo egli afferma: “Occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall’ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1Cor. 9,16). E conclude: “Questa Passione non mancherà di suscitare nella Chiesa una nuova missionarietà, che non dovrà essere demandata ad una porzione di specialisti, ma dovrà coinvolgere la responsabilità di tutti i membri del popolo di Dio. Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo”. (N°40). Auguro a me stesso e a voi tutti, che con noi collaborate, di essere pienamente coinvolti in questo invito del Papa.

fra Corrado per il C.A.M.

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Giugno 2001

I cerchi della missione

I Vescovi italiani all’inizio del Millennio ci hanno proposto un documento di capitale importanza: “comunicare il vangelo in un mondo che cambia“. In esso vengono tracciati gli orientamenti pastorali che dovranno caratterizzare le nostre chiese in questo primo decennio. Quando si afferma che questo mondo cambia, più che sottolineare un dato di fatto, si coglie un’attesa. Il cambiamento, cioè, è veramente desiderato. Ce n’è urgente desiderio, c’è fame e sete di un futuro nuovo e diverso. A questo desiderio, a questa fame e sete, il Vangelo può e deve essere offerto come la vera novità, come una sorgente che rinfranca e rigenera gli animi sfiduciati e affranti. La rivista della Federazione Stampa Missionaria Italiana commenta così il nuovo documento: “Un primo sentimento ci sembra doveroso manifestare ed è di gioia per il fatto che la Conferenza Episcopale Italiana imbocca decisamente la via della Missione. La Conversione Pastorale operata al Convegno di Palermo porta a questa conclusione: non si può vivere il Vangelo senza comunicarlo. Al n° 46 si parla di due livelli di Comunità: il livello Eucaristico, formato dai cristiani che partecipano alla Messa domenicale, e il livello battesimale, formato da quei battezzati che non hanno che rapporti sporadici (in occasioni particolari della vita) e che rischiano perfino di dimenticare il loro Battesimo e di cadere nell’incredulità. La prima comunicazione di Vangelo deve avvenire fra questi due livelli: i cristiani che vanno e partecipano seriamente all’Eucarestia, devono comunicare nel Vangelo con i loro fratelli che ne conservano solo deboli tracce. È la prima uscita che i Vescovi chiedono, si potrebbe dire il primo cerchio della Missione. Lo stesso n° 46 del Documento continua: Se questi due livelli saranno assunti seriamente e responsabilmente, saremo aiutati ad allargare il nostro sguardo a quanti hanno aderito ad altre religioni e ai non battezzati presenti nelle nostre terre. Anche la vera e propria Missione ad gentes, già indicata come paradigma della evangelizzazione dalla Lettera Apostolica Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II, riprenderà vigore e il suo significato diventerà pienamente intelligibile nelle nostre comunità ecclesiali” A mio parere è proprio qui che si colloca l’impegno di ogni Centro Missionario e di ogni servizio di animazione alla missionarietà. Ricordare che fare missione è essere Chiesa. E che mandare missionari, preti o frati, suore o laici, famiglie o equipes tra i popoli e i poveri della terra... e accompagnarli e sostenerli, è compito di ogni comunità cristiana, di ogni parrocchia, associazione o gruppo. Se questo non è assolto, o è assolto in modo evanescente, vengono meno le condizioni per la missione sul nostro territorio. La Missione sul territorio - lo dico per l’esperienza di tanti anni di parrocchia - è sempre in qualche modo, una missione di ritorno. A me piace chiamarla: viaggio Nord-Sud, ma di andata e ritorno.

A cura di fra Corrado

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Marzo 2001

Grazie, fratello Vescovo Bernardo

Il 22 Febbraio prossimo, Sua Ecc.za Mons. Giovanni Gremoli Vicario Apostolico di Arabia celebra il 50° della sua Ordinazione Sacerdotale e il 25° di Episcopato. E’ giusto e doveroso, nonché fraterno, da parte del nostro Centro di Animazione Missionaria, dedicare alcune pagine della rivista Eco delle Missioni alla sua persona, per molti di noi amica e fraterna e alla sua opera apostolica, che merita di essere presentata e letta con attenzione e ammirazione. Sua Ecc.za Mons. Gremoli, fu per noi P. Bernardo e tale egli volle rimanere. Per 21 anni è stato Segretario dell’animazione missionaria dei Cappuccini toscani, sostenuto da validi collaboratori come P. Lamberto Bigagli prima e P. Oneglio Bacci poi, destinato questo ad esserne il successore nel 1976. Non possiamo dimenticare, come P. Bernardo assunto l’incarico, lentamente, passo dopo passo, con tenace volontà, anno dopo anno, dette al Segretariato Missioni Estere una configurazione nuova, solida e funzionale. L’animazione iniziò nelle fraternità conventuali, soprattutto nelle nostre case di formazione. Fu allora che molti di noi, giovani studenti fummo contaminati da “quell’entusiasmo di Bernardone, (così si esprimeva l’anziano Lettore di morale di felice memoria), che ancora ci accompagna e che a me ha dato il coraggio o la presunzione, non so, di seguirlo in questo delicato incarico. Dalle fraternità religiose passò al coinvolgimento dell’O.F.S. e della Gi.Fra., delle parrocchie e non solo quelle cappuccine. Fu una fioritura di gruppi di laici a servizio delle Missioni, di laboratori missionari, ancora esistenti ed efficienti. Mostre permanenti e periodiche, giornate missionarie, al fine di sostenere anche sul piano economico le nascenti chiese per la promozione delle popolazioni in via di sviluppo. Ma il nome di P. Bernardo, anche se la Chiesa lo ha condotto in territorio arabo, è legato all’Africa, alla Missione di Mpwapwa (Tanzania) che possiamo ritenere con tutta verità, un suo progetto, una sua creatura. Chiusa l’India all’invio di nuovi missionari, P. Bernardo concepì ed intraprese con fermezza e costanza, nonostante qualche parere non favorevole, l’apertura di questa nuova missione in terra d’Africa, divenuta oggi Provincia Religiosa Cappuccina del grande Continente Nero. Così furono indirizzate le nuove giovani forze, desiderose di continuare la tradizione del primo annuncio evangelico sempre presenti nella nostra provincia toscana. Questa nuova presenza in terra d’Africa suscitò in P. Bernardo altre iniziative soprattutto per la formazione alla missionarietà del mondo laico giovanile e tra queste nacquero i Campi-Lavoro, che a partire dal 1971 sono stati ripetuti quasi ogni anno fino ad oggi. Questa esperienza è stata riconosciuta molto valida per la crescita della vocazione cristiana che non può non essere missionaria, per tutti coloro che vi partecipano. Curò molto la formazione anche mediante visite ai gruppi di collaboratori laici, organizzando incontri e convegni e creando il Bollettino di informazione Eco delle Missioni, ancora esistente… I suoi numerosi e faticosi viaggi in terra di Missione, il rapporto fraterno con i missionari e con le autorità dei luoghi visitati, contribuirono ad arricchirlo di esperienze nonché di quella capacità dialogica tanto necessaria per la convivenza pacifica e per operare in serenità per il Regno di Dio, che unite agli studi compiuti e alla conseguita Laurea in Diritto Missionario presso il Pontificio Ateneo Urbaniano, gli meritarono la Consacrazione Episcopale in occasione della Celebrazione del 25° di Sacerdozio il 22 Febbraio del 1976. La partenza di P. Bernardo per il Vicariato Apostolico d’Arabia ci rattristò un po’. P. Bernardo ci lasciò inizialmente orfani, ma il suo zelo, il suo insegnamento erano rimasti nella mente e nel cuore dei collaboratori e del successore, confortati e sorretti dalla presenza affettiva e dall’illuminato consiglio del fratello Presule. In altre pagine il servizio pastorale degli anni vissuti nel Vicariato. Dalla sede del C.A.M. parte il coro di auguri e felicitazioni di tutta la Toscana Missionaria nonché una preghiera perché il Signore continui a farci dono della sua presenza e della sua esperienza. Grazie Fratello Vescovo Bernardo!

fr. Corrado e tutti i collaboratori

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Dicembre 2000

Natale: c’è ancora tempo per Dio?

Carissimo amico lettore mentre mi accingo ad inviarti gli auguri del Santo Natale, sento il cuore diviso, come sempre, tra due Natali: quello di Dio e quello del mondo. Allora ti prego di avere un attimo di pazienza e di seguirmi in questa mia riflessione. La vera festa, che non disdice con il Natale di Dio, ha la sua gioiosa parentesi umana, che altro non è, che il far emergere in superficie attraverso le buone cose familiari, il canto profondo del cuore. Un canto di gratitudine per la venuta del Signore fra noi. Un passo avanti in un Vangelo vissuto. Ma c’è un Natale del mondo, così lontano dalla scarna bellezza della pagina evangelica della nascita del Salvatore, immemore delle attuali, moltiplicate croci dei poveri, ridotto ad una festa pagana nella quale la forte sublime lezione della grotta di Betleem non è che un pallido ricordo di infanzia, una specie di favola di tempi andati narrata dalle figurine del presepio. Un Natale senza più trepida attesa interiore, né clima raccolto di preghiera, né fedele presenza alla Novena, né gesti di riconciliazione, né soste dello spirito per rinnovare l’incontro, l’appuntamento d’amore con un bambino che ti cambia la vita, che dà senso alla vita. Non c’è più tempo per Dio? Forse si è affievolito il senso del Mistero e la fede nell’insondabile Misericordia di un Dio fatto uomo, come me, come te amico mio, per donarci la Risurrezione e la Vita. Come in una tenda nel deserto, in un ritrovato silenzio adorante che rafforza e vivifica l’unione con Dio, fermiamoci dentro per dare spazio alla Parola che illumina, trasforma e salva, per fare Natale. Penso che nel Natale tutto è piccolo come la speranza. Ma speranza di cose grandi, se sappiamo non far mancare il nostro impegno perchè... Tempo è di unire le voci di fonderle insieme di lasciare che la Grazia canti e ci salvi la bellezza (C.M. Turoldo) Questo è l’augurio che ti rivolgo per il Natale, amico mio, affinchè in ogni aspetto della vita si possa ravvivare ed offrire tanta speranza.

fr. Corrado

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Ottobre 2000

Le stranezze della Vocazione Missionaria

Con il passare dei giorni di quest’anno giubilare gli aspetti salienti della fede e della vita della Chiesa sono riportati in primo piano e offerti alla riflessione del popolo di Dio, così che alla luce dello Spirito e purificati dalle scorie del tempo, risplendano della purezza della loro origine evangelica. Ad ottobre arriverà anche la Giornata Missionaria Mondiale Ad Gentes, quella dell’Anno Giubilare. Giovanni Paolo II, così sensibile a questo aspetto della vita della Chiesa, è già da tempo intervenuto offrendo ai cristiani il contributo della sua parola con spunti, temi per la riflessione. L’eco delle parole di Gesù, pronunciate pochi istanti prima della sua salita al cielo sull’altura dell’Ascensione, risuona ancora vivo nella coscienza della Chiesa: «Andate in tutto il mondo, annunziate il vangelo ad ogni creatura, chi crederà e sarà battezzato sarà salvo!» Sono parole che per due millenni hanno spinto uomini e donne a dedicare la propria vita a questo servizio. Sono loro, i missionari, che sulla parola di Gesù hanno lasciato casa ed averi, fratelli e sorelle e le altre tante piccole cose, che fanno contorno alla vita, per offrire la possibilità a uomini e donne di incontrarsi con la luce di Cristo. È questo il comando, che ha arricchito la storia della Chiesa di pagine indimenticabili di fraternità, di sacrificio, di abnegazione e di sangue. È, infine, la storia del piccolo pugno di lievito, che col pane spande sapore e forza a quanti si cibano di lui. Il Papa ci ricorda che il missionario è un cristiano di razza speciale: speciale è la vocazione. Speciale è l’uomo o la donna, che si formano sospinti da questa missione. Ogni volta che ci fermiamo e cerchiamo di rivivere dentro di noi quei brevi istanti in cui Gesù affida il mandato della missione, esso ci appare come destinato a cadere nel vuoto. È questo un tempo carico di tensioni; i capovolgimenti intorno alla figura di Gesù sono stati repentini e contraddittori. Forza e debolezza, vittoria e sconfitta sconcertano gli apostoli impedendo loro di afferrare il senso di quello che sta accadendo. La sua stessa persona acquista un colore incerto e inquietante. Hanno paura di tutto, anche di lui. Certo che, un comando così immediato e di proporzioni così vaste, deve aver prodotto un effetto simile a quello suscitato quando Gesù chiese loro di sfamare cinquemila persone in mezzo ad un deserto senza un soldo in tasca con qualche pagnotta e due pesci a portata di mano. Ma ora all’Ascensione il tempo delle spiegazioni è finito. Dopo qualche istante Gesù infatti scompare per sempre dai loro occhi. Rimane l’eco di quelle parole, avvolte dalla nebbia del dubbio, come allora che, imbarazzati e sconcertati, cominciarono a distribuire quei pani e quei pesci. Si legge nelle parole del messaggio del Papa la preoccupazione, che l’animo confuso e le paure degli apostoli si siano riaffacciati nuovamente nei discepoli degli anni duemila. La messe è ancora abbondante, i mezzi e gli operai sembrano assottigliarsi. Le contraddizioni emerse dal passato, le deduzioni tratte dal tempo presente con i bisogni attuali rinfocolano i dubbi riaccendendo le perplessità. Ma tutto ciò lo troverete difficilmente in un missionario. Al contrario egli sorride ingenuo e distratto, non capisce o non gli importa il come e il perché. Il suo mondo è proteso in avanti. La sua missione è tutto quello che vede. Anche Giovanni Paolo II ripete con insistenza di non avere paura: l’andare per il mondo e la semina della Parola non sono il frutto di eccedenze da svendere, sono l’anima stessa e la forza della fede. Bisogna andare, sempre andare. Paolo, quando è profondamente addolorato dalle brutte notizie che giungono dalle comunità, che il suo andare aveva generato, è preso da una sorta di febbre. Diviene come insensibile e sordo a tutti gli ostacoli. È spinto sempre verso nuove mete, arrivando a sognarle perfino di notte. Guai a me se non predicassi il Vangelo! Da S. Paolo in poi questa inquietudine si riaffaccia di missionario in missionario. È una fissazione, che travolge tutto ciò che possa essere considerato buon senso, saggezza o evidenza. La comodità è noia, la quiete è inedia, la salute paura, il riposo vecchiaia. Ha mille interessi, ha mille faccende da fare, che più di chiarire sembrano oscurare la luce di Cristo. Le nostalgie, il mal di non so di dove, le abitudini e le fisime non danno mai pace. Mi direte che non sono che ingenue pazzie, sfasature dovute al tempo e ai paesi lontani. Siamo tutti d’accordo. Lo era anche Paolo che si gloriava delle sue fissazioni e debolezze, proprio perché servivano alla forza di Cristo. A lode di Dio.

fr. Francesco Borri Missionario in Tanzania e nella Custodia di Arabia

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Giugno 2000

Non è ancora Carità

Nel linguaggio corrente e di massa, purtroppo, la carità si identifica con elemosina, oggi tornata di attualità per il fenomeno ormai ingovernabile dell’accattonaggio che ci perseguita ad ogni passo. Quando invece la parola passa ai mezzi di comunicazione, dire elemosina sa troppo di sacrestia e di straccioni puzzolenti e ciò non si addice ai salotti lustri della TV; ed ecco che il medesimo gesto viene definito beneficenza. In momenti di calamità eccezionali o di casi angoscianti il tamburo rulla sugli schermi e sulle pagine, si toccano le corde dell’emozione che provocano così gesti improvvisi e impetuosi di generosità: Albania, Kosovo, Mozambico ecc. Ma conosciamo bene la legge spietata della sponsorizzazione. Un passo in avanti. Sì, possiamo dire che un passo in avanti è stato fatto, chiamiamolo salto di qualità. Di fronte all’oceano immenso delle emarginazioni, dell’urgenza sanitaria, dei recuperi morali e sociali, di ogni condizione disastrata di vita, è nata una forma più alta, articolata ed efficace di aiuto che è l’assistenza. Le forme sono molteplici, con milioni di persone che si dedicano senza lucro a questo volontariato in soccorso dei bisognosi. Basti pensare ai numerosi giovani presenti nel servizio alle Missioni, sia con scelte di presenze temporanee, come definitive. Un vero salto di qualità, ben diverso dall’elemosina occasionale o dall’emozione del momento. Siamo alla cultura della solidarietà; qui stanno i veri valori della promozione umana, sia per chi dà che per chi riceve. Una cosa ancora manca. Quando Gesù incontrò un giovane ricco ma ancora onesto e che poteva rispondergli di osservare tutti i comandamenti, gli disse: «Una cosa ancora ti manca: Vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi». Dare, si deve dare, ognuno secondo la propria possibilità e vocazione, ma Gesù fa notare che si deve aggiungere uno stile, un seguito che è seguire lui. Per qualcuno potrà essere la sequela diretta all’opera dell’evangelizzazione, ma per tutti significa che il fare deve essere eseguito seguendo il suo stile. E Cristo non solo ha dato ai poveri, ai malati, ma si è dato, ha dato se stesso, il suo sentire, il suo amore che è arrivato sino alla fine, cioè il dono della sua stessa vita: ha consumato se stesso e non soltanto i suoi averi. Questa è la carità cristiana, questo suo stile è sostanzialmente diverso dall’elemosina, dalla beneficenza, e dall’assistenza. E’ diversa perché si trascina dietro i poveri nel cuore, tutti e per sempre. Riempire di doni le mani del povero senza incartarli nell’amore è come spedire un pacco senza mittente: sempre e soltanto una cosa.

fr. Corrado

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Marzo 2000

Giubileo: chi fa la storia?

Fa la storia chi sa la storia. Una domanda utile per tutti specialmente in questo tempo di Giubileo: quale storia conosco? Chi fa la mia storia e la storia del mondo ? La Bibbia ci insegna che la storia è guidata da Dio che ha scelto di farla attraverso i poveri di Jahwè, cioè i diseredati e gli emarginati dalla storia ufficiale del mondo: orfani, vedove e stranieri, gente senza diritti e dignità, ma che trovano nell’amore di Dio Padre la propria identità e il senso della vita. Così è accaduto per il resto di Israele, il più piccolo e fragile dei popoli, così è accaduto nei primi secoli del cristianesimo, quando, durante le persecuzioni degli Imperatori romani, a persone semplici e inermi l’amore di Gesù ha dato la forza del martirio. Così sta accadendo nel nostro tempo: il 1999 si è chiuso con un numero altissimo di missionari uccisi, sono 31 fra sacerdoti, religiosi, religiose, catechisti e seminaristi. La lista è naturalmente incompleta: di alcuni non si sa nemmeno il nome e di tanti altri non si conosce nemmeno il martirio, essendo ufficialmente solo scomparsi. I martiri di quest’anno provengono dai luoghi più caldi del pianeta, dove da anni si è immersi in guerre e violenze, soprusi ai diritti umani e oppressioni tiranniche: Colombia, Timor Est, Congo, Sierra Leone... Sono Paesi che secondo i mass media e l’opinione comune non offrono alcuna speranza, ma i 31 martiri tengono viva la speranza. La loro morte a Timor Est ha risvegliato l’attenzione e l’intervento della comunità internazionale. In Rwanda invece non hanno fatto notizia, ma in quella realtà così triste alcuni testimoni hanno riscritto una storia che a noi non è arrivata. Nessuno, ad esempio, ha saputo di trenta giovani che sono andate incontro al martirio cantando, o di quel catechista che ha chiesto di poter terminare la lettura della Passione prima di cadere nella fossa che gli era stata fatta scavare con le proprie mani; o della donna massacrata per aver raccolto i bambini abbandonati di un’etnia diversa dalla sua; o della madre di famiglia che, persi marito e figli, è stata tagliata a pezzi mentre continuava a cantare i salmi appena interrotti nella chiesa delle suore. Sono i nuovi martiri che giudicano il nostro tempo con i suoi padroni e le loro politiche, ma che insieme ci permettono di scrivere un’altra storia, una storia ricca di speranza e di luce, ...tutta un’altra storia... La storia di Dio con gli uomini Sono i nuovi martiri che fanno la storia, adesso lo so anch’io...

fr. Daniele

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Dicembre 1999

RISVEGLIARE la missionarietà

Il Natale è stato collocato da molti secoli al 25 Dicembre, perché gli antichi celebravano in questa data la Festa dedicata al Sole che, dopo il Solstizio d’Inverno, riprende a crescere, mentre le giornate cominciano ad allungarsi: è il giorno più adatto a celebrare la nascita di Gesù, sole che sorge per illuminare ogni uomo. Nel Natale si celebrano tre fatti importanti. Il Signore Gesù è venuto: Gesù è già nato, ciò è accaduto circa duemila anni fa e questo avvenimento non si ripete, come non si ripete la nascita per ogni uomo. Il Natale quindi è memoria viva di un fatto veramente accaduto. Il Signore Gesù viene: Gesù non è un uomo come tutti, Egli è il Figlio di Dio, nato, vissuto, morto e risorto per noi. Egli è per sempre vivente perché ha vinto la morte. Il Natale è perciò celebrazione della presenza viva del Signore in mezzo a noi. Il Signore Gesù verrà: ognuno di noi attende la felicità perfetta senza fine, ma non possiamo conquistarla da soli, essa è dono del Signore, quando verrà e starà sempre con noi. Il Natale perciò è attesa della venuta del Signore che ci terrà con se per sempre. Esiste una parola che i primi cristiani conoscevano molto bene, una parola che esprime questi tre significati del Natale, Maranathà. É un termine che viene dalla lingua aramaica, la lingua parlata da Gesù; i primi cristiani la usavano nelle liturgie come acclamazione, Il Signore è venuto e sia come invocazione, Vieni Signore! Natale è pregare: pregare personalmente, in famiglia e come comunità. Preghiera quotidiana: il Signore è la nostra compagnia ogni giorno e la preghiera serve a prenderne coscienza. Preghiera concreta: il Signore vive nella nostra vita quotidiana e noi lo riconosciamo nelle cose di tutti i giorni. Preghiera insieme: nella vita si dimenticano tante cose, ma i momenti belli non si scordano più... anche se dovessimo perdere la fede, i momenti della preghiera insieme agli amici, ai fratelli, non vengono mai dimenticati e spesso sono quei ricordi che riconducono a Dio. Natale è momento di verifica, lasciamoci scrutare da queste parole di Madre Teresa:

É Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano; ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare un altro; ogni volta che speri con gli oppressi dal peso della povertà fisica, morale, spirituale; ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza. E’ Natale ogni volta che permetti al Signore di amare gli altri attraverso di te. Preghiamo per essere capaci di accogliere Gesù a Natale in un cuore pieno di amore e di umiltà, un cuore caldo di amore reciproco.

fr Corrado

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Ottobre 1999

Signore fa di me uno strumento della tua pace

Kosovo, un nome simbolo ormai di una terribile guerra e sempre più sinonimo di odio e di vendetta. Dopo una guerra non ci sono mai, crediamo, dei veri vincitori, ma una cosa purtroppo è sempre terribilmente vera: l’odio, il desiderio di vendetta esplodono più violenti e disumani delle bombe della guerra. E’ quello che vediamo sotto i nostri occhi. La violenza semina violenza, una catena di morte dove non conta più se uno ha ragione o torto, ma dove la vera sfida diventa quella di riuscire o meno a tenere a bada la bestia che si annida dentro di lui, come dentro il cuore di ogni uomo. Questa fine millennio esige più che mai che i missionari aiutino l’uomo cosiddetto moderno ad essere più uomo, più se stesso e meno lupo, lupo che uccide barbaramente il proprio simile. I conflitti armati oggi nel mondo sono tanti, nessun continente ne è esente, compresa la nostra Europa, la cui neonata unità non sembra avere risposte per le attese di pace e giustizia dei popoli. Urgono nuovi missionari che sappiano farsi strumenti di pace e così disinnescare le mine antiuomo che si annidano minacciose nei cuori di tante persone cariche d’odio, impazzite, prive di identità. A Città del Messico nella Piazza delle Tre Culture (azteca, spagnola e moderna) c’è una lapide che ricorda il dramma della conquista spagnola:

Il 13 agosto 1531 eroicamente difeso da Cuauhtemoc Tlatelolco (oggi Città del Messico) cadde in potere di Hernan Cortés. Non fu né trionfo, né sconfitta fu invece la dolorosa nascita del popolo meticcio che è il Messico di oggi.

Forse è così anche per il nostro mondo di oggi: la storia non è più storia di trionfi o di sconfitte, ma di conflitti sempre tragici che, nonostante tutto per grazia di Dio porteranno alla nascita di un popolo meticcio, cioè un popolo nuovo, risultante da una unità di razze e culture diverse, un popolo pacifico, migliore di quello che ha visto la storia di 2000 anni dopo Cristo. In questo contesto, per tutta la grande famiglia francescana risuona dal Padre S.Francesco un accorato appello all’unità e a farsi, uniti, strumenti di pace per un popolo che appartenga veramente a Cristo Signore, sotto la cui guida ogni uomo diventi veramente più uomo. (cfr Conc. Vat. II G.S. 41)

fr. Daniele

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